Disegno del desiderio
Erotismo e censura nel Rinascimento
Abstract
Le arti figurative del Cinquecento italiano sono ricche di richiami simbolici, più o meno espliciti, all’erotismo. Se nei soggetti ripresi in scene di sacralità l’autocensura si fa manifesta nell’evocare la parvenza di una controllata allusione all’estasi mistica di una corporeità compiaciuta, diversamente, nelle raffigurazioni di carattere mitologico e nelle sfrenatezze delle memorie romane da riattivare, il medesimo artista può liberare il proprio immaginario sperimentando l’iconografia di un piacere sessuale la cui divulgazione è ‘pericolosamente’ rivolta ad un pubblico allargato, grazie alle stampe a bulino e ai testi che le accompagnano. Sono note le vicende del libro I Modi di Marcantonio Raimondi, che traduce in incisioni le fantasie dipinte da Giulio Romano nel 1524, assieme alla successiva pubblicazione dei Sonetti lussuriosi in cui le stesse immagini dialogano con gli espliciti racconti di Pietro Aretino; tuttavia, la controriformista pena inflitta con l’incarcerazione non scoraggia Raimondi dal continuare la sua ricerca del desiderio disegnato, in alcuni casi anche rivolta al godimento solitario, come si evince dalla Figura femminile con dildo del 1520 [incisione a bulino, 7 x 14.1 cm, Nationalmuseum, Stoccolma]. Sulla stessa linea tematica il sodalizio che lega il pittore con l’abile incisore, Romano a Raimondi, coinvolge anche Perin del Vaga e Giovanni Jacopo Caraglio nell’impresa di una riproducibile arte rivolta alle masse. Altri artisti, come Agostino Veneziano e Marco Dente, si cimentano in pregevoli raffigurazioni dell’eros e non stupisce che i sopracitati siano quasi tutti allievi di Raffaello che, ad esempio, nella Loggia di Psiche privatizza i preliminari di una carnalità commissionata per gli interni della Villa Farnesina a Roma. L’articolo si concentra sulle esperienze più significative della rappresentazione dell’erotismo rinascimentale, con particolare attenzione al potere divulgativo dell’incisione, alla progettazione e postura degli idealizzati o presunti corpi in scena, alla normalizzazione di pratiche intersoggettive che nelle eidografiche riproposizioni del modello vitruviano sintetizzano la centralità, il potere politico e la misura performativa di un homo bene figuratus, come ad esempio quello proposto da Cesare Cesariano nel 1521.