Il manifesto pubblicitario tra gli anni ‘50 e ‘70
Disegno e colore come forma di resistenza e rifiuto alle nuove strategie della comunicazione: l’esempio francese
Abstract
La tecnologia cambia (o condiziona fortemente) la storia, le abitudini, gli usi e costumi, financo il disegno. Un tiralinee, un graphos, un rapidograph: oggetti di archeologia grafica; la stilografica: un vezzo, chic, snob, elitario; l’acquerello: leziosità per pochi eletti. Tra breve l’esercizio del disegno con i bei vecchi strumenti del passato (da qualcuno religiosamente conservati e custoditi con cura) potrebbe essere visto al pari di una messa recitata in latino (per lasciarci sopra una pseudo aura di sacralità al gesto), una sorta di atto eretico, se raffrontata all’attuale normalità della pratica di “rappresentazione” digitale. Ma tali accadimenti non son certo una novità, in altri periodi e in diversi contesti, c’è sempre stata una minoranza che non sì è adeguata a ciò che la maggioranza percorreva, qualcuno che non si è conformato a scelte legate a regole di mercato o al progresso tecnologico. Nell’ambito della grafica pubblicitaria, tra gli anni ’50 e ’60, le nuove strategie di comunicazione e marketing provenienti dagli “USA”, uniti ai perfezionati sistemi di stampa tipografica e alla proliferazione di radio e TV, fanno si che la fotografia assuma un ruolo predominante nelle campagne pubblicitarie e nella realizzazione dei manifesti di pubblicità commerciale. Il “bello” gradualmente scompare per essere sostituito dall’ “efficiente”, e soprattutto dal “veloce”. Un poster fotografico si realizza rapidamente e può risultare più diretto nelle strategie di commercializzazione, e soprattutto è molto più economico rispetto ad uno “disegnato”. Allo stesso tempo al lavoro creativo del “solo” cartellonista, si sostituiscono le agenzie “MAD Men”, un lavoro di gruppo che vede coinvolti nella realizzazione di una campagna pubblicitaria varie figure tecniche, specialisti di marketing, di sociologia, di economia, di immagine, di linguaggio, di musica. Vorremmo trattare di un gruppo di cartellonisti francesi degli anni ’50 e ’60, che rigettano l’uso della fotografia nei poster, che respingono le strategie di comunicazione legate al prepotente avvento dei mass-media e che credono ancora nell’opera del singolo, nella creatività, nella forza del disegno e del colore.
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